L’evoluzione tecnologica e di internet
Negli ultimi anni la vera “rivoluzione di internet” si è avuta nella quantità e nella tipologia di traffico scambiato, in particolare dovuto a nuovi contenuti multimediali. L’esplosione del traffico generato da dispositivi mobili (in particolar modo dalle app, i social su tutte) e dei contenuti video on demand, hanno ulteriormente incrementato questo trend. Questo anche sotto la spinta generale al traffico dati causato dall’avvento della pandemia e dal forte incremento di applicazioni come il video conferencing, il gaming e altri ancora.
Di fatto, oggi la maggior parte del traffico internet riguarda la fruizione di contenuti video. Si pensi che lo scorso anno la fetta del traffico internet mondiale “consumata” dal downstream video ha raggiunto i due terzi del totale. Di questi una significativa fetta (circa il 50%) è in carico a pochi diffusissimi servizi. Da soli Netflix (con il 15%), YouTube (il 12%), Disney+ e Prime Video rappresentano un terzo di tutto il traffico.
A contribuire a questa evoluzione è stata senz’altro la diffusione di connessioni internet a banda maggiore, con la disponibilità capillare di connessioni in fibra e connessioni in rete mobile veloci. 4G e 5G hanno di fatto abilitato anche smartphone e tablet ad ogni utilizzo multimediale, assecondando l’accresciuta abitudine ad interagire digitalmente o a fruire contenuti da remoto, sdoganata definitivamente con la pandemia.
Non solo, la supremazia del video è stata spinta anche dalla continua ricerca e crescita in termini di qualità che, in quanto a impatto sui volumi di traffico generati, non ha eguali nelle altre applicazioni. Ora, infatti, nel mondo del video digitale si parla di contenuti in “ultra-high-resolution”, a partire dal 4K, e ancora 8K, HDR e 360-degree.
Nuovi protocolli per il video encoding
Poter supportare questi scenari applicativi non è solo una questione di infrastruttura: occorrono anche nuovi protocolli. Non a caso la ricerca per poter supportare la massima qualità video senza eccedere in banda è continua e fervente.
Il nuovo standard H.266/VCC (Versatile Video Coding) promette di dimezzare la banda occupata rispetto allo standard H.265/HEVC, mantenendo la stessa qualità, facendo ancor meglio di AV1, che però è gratuito. Questo consentirà di supportare gli scenari più avanzati come l’8K e i video a 360-gradi, ma si tratta di protocolli freschi, il cui utilizzo oggi è ancora frenato sia dai costi delle royalties che dall’assenza di prodotti pronti a supportare direttamente il protocollo in accelerazione hardware.
Per questo, e soprattutto per i diversi requisiti di prestazioni e qualità rispetto agli scenari 4K o 8K, sono ancora protocolli come l’H265 e l’H264 a farla da padroni negli ambiti come il VDI (Virtual Desktop Infrastructure), dove sono usati entrambi, o il video-conferencing (applicativi come Teams o Zoom utilizzano H.264 o protocolli tecnologicamente similari).
Prima ancora, il protocollo HEVC/H.265 aveva superato il precedente permettendo un 50% di riduzione dello spazio necessario per memorizzare o trasmettere i video rispetto all’H.264, utilizzando una codifica più efficiente, realizzata attraverso algoritmi più evoluti e sofisticati, mantenendo un alto livello di qualità di immagine.
Tuttavia, lo standard H.264 resta ancora il più diffuso. Infatti, l’encoding utilizzato da HEVC/H.265, è molto più dispendioso sia in codifica che in decodifica rispetto al H.264, richiedendo molto più tempo di computazione e maggior consumo di potenza/batteria, con problemi di performance su dispositivi hardware di fascia medio-bassa.
Tra gli standard H.264 e H.265 è quindi avvenuto lo stesso processo che osserviamo oggi nell’approccio verso il protocollo H.266/VCC (fino a 7 volte più complesso da codificare, e 2 da decodificare) e che è avvenuto in precedenza con il codec H.264 a partire dal 2003, impiegando poi anni a diffondersi, fin quando tutti i vari produttori hardware non hanno inserito decoder specifici per questo formato.
H.264 vs H.265
Ma vediamo ora le differenze tra questi i due protocolli oggi più diffusi.
Entrambi i codec di compressione video lavorano comparando le differenze tra frame consecutivi, identificando quelle aree comuni costanti. Tali aree delle immagini vengono poi sostituite con delle informazioni che descrivono i pixel originali. La grande differenza tra i due è la diversa abilità di espandere queste aree (chiamate CTU, Coding Tree Unit) in maniera dinamica, con dimensioni che variano da 4×4 a 64×64, mentre H.264 si limita ad un massimo di 16×16. Il miglioramento della segmentazione e della predizione spaziale richiede, però, più capacità computazionale per la parte di encoding, mentre non impatta troppo sulla parte di decodifica. HEVC/H.265 è in grado, inoltre, di referenziare blocchi di pixel all’interno dello stesso frame (intra prediction) o in frame differenti (inter prediction).
Per rendere l’idea, il nuovo protocollo H.266/VCC si spinge fino ad aree da 128×128 e ha una gamma molto più estesa di modelli applicabili nelle fasi di inter/intra prediction e di partizionamento.
Anche i sistemi di virtualizzazione del desktop da sempre traggono benefici dal miglioramento dei sistemi di streaming. Dal punto di vista tecnico le tecnologie impiegate sono molto simili. Per questo motivo già da anni i principali provider tecnologici, come Citrix e VMware, hanno introdotto la possibilità di utilizzare la codifica HEVC/H.265 per lo streaming del desktop. Il setup richiede di montare sul proprio server una scheda video in grado di supportare questo encoding, seppure, quando si parla di installazioni enterprise, le schede grafiche che possono consentire un accesso multiplo alla loro potenza di calcolo possono essere onerose.